venerdì 13 giugno 2014

Senegal, l'Eldorado del mattone che cancella la crisi

Senegal, l'Eldorado del mattone che cancella la crisi

Il settore è in ginocchio. Dal Veneto 16 aziende partono per Dakar. E in Italia i sindacati scendono in piazza il 31 maggio.

L'INIZIATIVA

Dall'Italia nord-orientale all'Africa occidentale in cerca di un lavoro. È questa l'ultima carta che hanno deciso di giocarsi un gruppo di 16 piccoli imprenditori veneti del settore edile per vincere la crisi.
Un viaggio della speranza, questa volta al contrario. Sì perché ormai non sono solo gli africani a venire in Italia in cerca di un'occupazione.
Dal 2008 a oggi nel settore delle costruzioni si sono persi circa 550 mila posti di lavoro. Così cercare nuove opportunità di business fuori dall'Italia è diventato un obbligo. E il Senegal una terra promessa.
IL RIENTRO IN SENEGAL. In seguito al fenomeno della diaspora senegalese, infatti, il governo del Paese africano ha predisposto una serie di agevolazioni e aiuti economici per favorire il rientro di molti emigrati.
Una volta tornati in patria, si prevede che i senegalesi abbiano bisogno di una casa e di una serie di nuove infrastrutture: strade, alberghi, centri commerciali e strutture di servizi. Un vero e proprio boom dell'edilizia, quindi, su cui gli imprenditori trevigiani hanno deciso di puntare.

Il viaggio a giugno per i primi sopralluoghi

A organizzare il viaggio dal 2 al 9 giugno è stata la Confartigianato di AsoloMontebelluna (che conta 3 mila Piccole e medie imprese) cui si è unito il consorzio Artea, una rete di 32 aziende artigiane che operano nei settori dell’edilizia, dell’impiantistica, della manutenzione e dell’installazione.
A sostenere il progetto c'è anche Treviso Glocal, società per l'internazionalizzazione della Camera di commercio trevigiana che si è proposta di accompagnare le imprese venete durante il viaggio.
Per ora si tratta di un primo sopralluogo nel quale gli imprenditori devono incontrare le istituzioni senegalesi, l'ambasciatore italiano, i rappresentanti della Bhs (Banca dell'habitat senegalese) e i dirigenti della Plasepri, la piattaforma d'appoggio al settore privato e alla valorizzazione della diaspora senegalese in Italia.
CONTATTI E SOPRALLUOGHI A DAKAR. «Visiteremo anche le terre messe a disposizione dal governo per costruire le nuove case, l'obiettivo è capire che cosa potremo fare», spiega a Lettera43.it Stefano Zanatta, presidente della Confartigianato di AsoloMontebelluna. «Il nostro è un viaggio esplorativo, se andrà bene e troveremo delle commesse apriremo un consorzio ad hoc per organizzare il lavoro e le nostre trasferte in Africa».
L'idea è quella di creare una rete di competenze, una specie di distretto edilizio mobile: «Naturalmente dovremo usare la manodopera locale, però avendo la possibilità di fare impresa in Senegal potremo comunque portarci dietro qualche figura specializzata, ma soprattutto guadagnare capitali che ci permettano di sopravvivere e tornare a investire anche nel nostro territorio», continua Zanatta.
GLI INCONTRI ISTITUZIONALI. La strategia è quella di «auto-esportarci», dice il presidente dell'Associazione, «in questi giorni a Milano abbiamo incontrato il console del Senegal e abbiamo capito che ci sono delle buone possibilità. A Dakar sono già arrivati gli inglesi, i francesi e i cinesi, manchiamo solo noi italiani».
Una motivazione in più per intraprendere questa avventura è arrivata anche dall'incontro con Roberto Camerin, un costruttore di Vittorio Veneto «che ci ha raccontato le sue diverse esperienze di business in Costa d'Avorio e Senegal, così abbiamo deciso di provare a organizzare una spedizione. Pensavamo aderissero in pochi, invece siamo già 16».
Se qualche anno fa trovare qualcuno disposto a lasciare il Veneto per cercare lavoro in Africa sarebbe stato impossibile - «Nessun piccolo imprenditore si sarebbe mosso, qui il lavoro non mancava», osserva Zanatta - «oggi possiamo solo vendere le nostre capacità all'estero».

In Italia si rimandano anche le ristrutturazioni

In Italia ormai la situazione è drammatica. Lo sanno bene gli artigiani del consorzio Artea che per vincere la crisi le hanno provate tutte.
Da febbraio si sono riuniti e hanno bussato alla porta delle istituzioni, si sono proposti per fare piccoli lavori di ristrutturazione chiavi in mano, messa in sicurezza delle scuole e delle case di cura.
Ai Comuni del trevigiano hanno chiesto di essere presi in considerazione per gli appalti, anche i più piccoli, persino per la manutenzione delle strade. Ma le risposte sono state quasi pari a zero. Troppo poche per potere resistere, soprattutto se si tratta di piccole imprese edili che hanno già dovuto licenziare i dipendenti e si è a un passo dal fallimento.
COLPA ANCHE DELLA BUROCRAZIA. «Qui la crisi ha spazzato via le decine di aziende nate con la speculazione edilizia, quelle straniere sono tornate a casa e siamo rimasti solo noi del territorio, ma facciamo comunque fatica», racconta Sergio Zanella, vicepresidente di Artea. «I lavori sono sempre meno, se alle gare d'appalto prima si presentavano tre o quattro aziende, ora partecipano anche in 15 e tutte giocano al ribasso pur di portarsi a casa un lavoretto».
Adesso «anche le ristrutturazioni vengono rinviate, nonostante le agevolazioni del Piano casa», continua Zanella, «e infine c'è la solita burocrazia, che ci dà il colpo di grazia».
LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO. Così c'è chi ha pensato di saltare l'ostacolo - in questo momento rappresentato dall'Italia - e partire per il Senegal.
«Siamo una squadra di piccoli imprenditori: si va dal piastrellista al muratore, dal carpentiere al pittore edile. Speriamo di tornare con qualche contratto in mano», auspica il vicepresidente di Artea, che racconta come anche in famiglia siano ormai tutti rassegnati, «sanno che andare in Africa è l'unica speranza per fare qualcosa. Ma lo Stato non può far finta di non vederci, deve farsi carico di questa crisi, che non può pesare solo sulle nostra spalle».
Quelle dei piccoli imprenditori sono infatti troppo deboli per sopportarla, «le nostre non sono società di capitali, la prima cosa che ci tolgono appena rimaniamo senza lavoro e senza il credito delle banche, è la casa».
Così la disperazione non tarda ad arrivare: «Tanti hanno il carattere per resistere, altri non ce la fanno e si tolgono la vita».

La denuncia dei sindacati: mai così male dal Dopoguerra

Un Sos che i lavoratori del settore edile hanno lanciato ormai da tempo e che il 31 maggio è destinato ad avere un'eco nazionale, grazie alle iniziative organizzate in tutte le regioni dai sindacati Feneal Uil, Filca Cisl, Fillea Cgil.
L'obiettivo è raccontare l’agonia del settore e chiedere al governo un tavolo straordinario di crisi e interventi immediati per aprire piccoli e grandi cantieri. Una mobilitazione che precede la manifestazione nazionale del 22 giugno.
Dagli edili un messaggio forte e chiaro a Palazzo Chigi: «Fate presto, perché il rischio che stiamo correndo in Italia è la scomparsa di un intero comparto industriale, quello dell’edilizia, mai così in crisi dal Dopoguerra», denunciano i segretari generali Massimo Trinci, Domenico Pesenti e Walter Schiavella, «in cinque anni di crisi si è registrato il crollo del 30% della produzione, del 20% del fatturato e del 40% degli investimenti pubblici».
GIÀ PERSI 550 MILA POSTI DI LAVORO. Sono 550 mila i posti di lavoro persi nell'intera filiera delle costruzioni, la metà nel solo settore dell'edilizia, «dove abbiamo assistito alla caduta verticale rispetto al 2008 di tutti i valori: -400 milioni di ore lavorate e -2 miliardi la massa salariale», spiegano i sindacati.
A eccezione del comparto dei lapidei, la cui tiepida tenuta è data dalla particolare vocazione all’export, in tutti i comparti i numeri fanno paura: «Crollo della produzione nel cemento calce gesso (- 40%), nei laterizi e manufatti in cemento (-50%) e nei prefabbricati (-60%)».
E non va meglio nel legno-arredo, dove «sono 52 mila gli addetti spariti, e con loro 10 mila aziende».
Il calo della domanda interna tocca la quota del 40%, con previsioni per il 2013, così come per gli altri comparti, in caduta libera.
EXPO E CRISI LOMBARDA. Solo in Lombardia, la regione che in previsione dell'Expo dovrebbe avere il più alto livello occupazionale nel settore edile è invece passata dal 2008 - anno dell’inizio della crisi - dai circa 185 mila lavoratori ai circa 120 mila del 2013: in cinque anni qualcosa come 65 mila dipendenti in meno, con l’indotto che ha visto ridursi i propri dipendenti di circa 90 mila unità, senza disporre degli ammortizzatori sociali di cui usufruiscono gli altri settori dell’industria.
Dai dati dell’Ance Lombardia si rileva che è andato perso, nel quinquennio 2008-12, il 22,1% della produzione, pari a circa 6,8 miliardi di euro (e il 35% delle imprese).
CALO EROGAZIONE MUTUI. Una crisi alimentata anche dalla continua stretta bancaria. Nel 2012 si è toccato infatti il minimo storico per quanto riguarda l’erogazione di mutui, con un crollo del 47,4% rispetto al 2011. E nel 2013 si prevede un ulteriore calo dell’erogazione di mutui, pari a -4,8%.
La contrazione dei finanziamenti erogati dal sistema creditizio alle imprese tra giugno 2011 e giugno 2012 è stato pari al 2,5%. In pratica, le imprese italiane hanno ottenuto 978 miliardi di euro invece dei 1.003 concessi nello stesso periodo dell’anno precedente (fonte Unioncamere).
LE MORTI BIANCHE. L'unico dato a non segnare una diminuzione è quello sulle morti bianche. Nei cantieri si lavora meno, ma si muore di più. Perché tra i tagli fatti per risparmiare, i primi sono proprio quelli sulla sicurezza dei lavoratori, che non solo lavorano in nero o sono costretti a firmare la lettera di dimissioni in bianco all'ingresso del cantiere, ma lavorano in condizioni sempre più pericolose.
Secondo i dati della Fillea Cgil dal 2008 al 2011, nel settore dell'edilizia, gli infortuni sono aumentati del 6% e i morti del 28%. Esclusi naturalmente i lavoratori in nero. 

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