In Italia esiste un’enorme ignoranza su quanto i social network e la rete Internet in generale possano far decollare aziende, business e l’efficacia della pubblicità. I costi poi considerati nella loro globalità sono infinitamente minori rispetto alla pubblicità tradizionale (cartelloni, tv, radio, giornali), se rapportati al fatto che con un click sul web si possono raggiungere milioni e milioni di persone in un colpo solo.
Concetti da far capire se si pensa a quanto guadagna un social media manager: 30-40 euro l’ora….300 euro al mese per ogni pagina gestita (100 euro in più per ogni social aggiuntivo tenuto sotto la propria supervisione). Esempio: gestite la pagina Facebook di un’azienda, 300 euro al mese di guadagno. Gestite le pagine Facebook, Twitter e Google Plus della stessa azienda, 500 euro al mese di guadagno. Ovviamente potete farlo per più aziende contemporaneamente.
In pochi lo sanno, ma prima di iniziare a lavorare un professionista che si occupa di social network impiega un mese soltanto per studiare la strategia (diffidate da chi è pronto ad iniziare dal giorno dopo, vuol dire che improvviserà!), e quel mese di studio va retribuito, ma in Italia nessuno lo fa, perché nell’ignoranza clamorosa sulla materia, si pensa che il manager non stia facendo nulla nel frattempo. Il Social Media Manager è la figura aziendale che si occupa di portare la strategia promozionale aziendale sui Social, di sviluppare la conoscenza del brand, di aumentare le interazioni sui social network ed il traffico: deve conoscere l’azienda, il prodotto, il business prima di poterlo declinare sui social.
Quanto guadagna un social media manager? Negli Stati Uniti dai 75mila ai 125mila dollari all’anno, ma anche un profilo junior può arrivare a guadagnare subito 50/60 mila dollari all’anno. In Italia invece è pieno di agenzie che non ti assumono, ti costringono ad orari massacranti e ti pagano poco…..solo le grandi aziende ad oggi garantiscono assunzioni e stipendi molto interessanti: un bravo professionista di social network riesce in contesti grandi a diventare ben presto dirigente, quando si capisce che nella promozione, Internet ed i social media oggi sono tutto.
Da freelance invece si possono ottenere guadagni variabili in base al periodo ed al cliente: 30-40 euro l’ora lordi per chi ha partita iva o si fa pagare in ritenuta d’acconto è la paga base, sotto questa cifra si offende la dignità di un bravo social media specialist, però purtroppo capita spesso. Ed allora assistiamo sempre di più ad episodi in cui il datore di lavoro o il cliente va dal professionista e gli dice: "Interessante, ma non ho una lira, se ti accontenti di 4 spicci però...", il professionista che magari se la sta passando male, accetta quella miseria, ma per quella cifra fa meno del minimo, ed il suo lavoro non porta effetti tangibili al business del committente, tanto da alimentare ancora di più l’idea sbagliata che lavorare con i social network è inutile.
Diciamo che dallo studio delle dinamiche della piccola nicchia dei social media manager, si potrebbero trarre conclusioni idonee per spiegare la nostra crisi economica, che ha responsabilità precise in tutti gli attori (clienti, professionisti, lavoratori e datori di lavoro) coinvolti nel mercato del lavoro. Il principio di sottopagare i lavoratori, anche quelli più bravi con la scusante della crisi, ha portato ad un livellamento verso il basso delle competenze, così oggi si preferisce sempre di più affidarsi ad uno “smanettone” improvvisato, piuttosto che ad un professionista serio, per risparmiare, salvo poi accorgersi che il poco speso non è servito a nulla, di fronte invece, e non ci scorderemo ma i di ricordarlo, alle possibilità illimitate che Internet offre a chi si affida a persone di provata competenza.
Il professionista bravo incontra poi delle difficoltà sempre maggiori anche nel dimostrare la bontà del proprio lavoro con i social, perché le visite che arrivano da chi naviga ad esempio dall’ufficio sono sempre più registrate in maniera anonima (dns anonimi a disposizione di server aziendali, oppure utilizzati per scelta di chi in azienda non vuole farsi beccare a navigare su Internet), anche quando arrivano da aggregatori e social network.
Fonte: Bianco Lavoro
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